Le botteghe sempre state, fin dall'antichità, luoghi di intenso lavoro, di raffinamento delle tecniche di lavoro, di tecniche trasmette di generazione in generazione, di creatività e spesso fucine di forme d'arte. Da sempre, il lavoro è ciò che ti promette un futuro, e ogni buon lavoratore ha bisogno di qualcuno che lo sappia iniziare al mestiere, che gli insegni le tecniche di lavoro e lo educhi. Le botteghe erano il luogo dove i giovani volenterosi potevano apprendere il necessario per il futuro, sviluppare la tecnica e ricevere incarichi, nella speranza di poter un giorno raccogliere i frutti del duro lavoro. L'uomo moderno si sorprende davanti alla spaventosa maestosità dei lavori di questi uomini, di come semplici mani popolari siano riuscite a costruire le fondamenta dell'arte, della tecnica, e che queste mani lavoratrici siano riuscite a trasmetterci tale grandezza, attraverso una grande quantità di lavori, imbevuti del loro sudore e del loro sangue.
Le prime botteghe di arte pittorica nascono nel Medioevo e sono infatti considerate tipicamente caratteristiche di questo periodo storico. È facile capire la loro importanza considerando che esse hanno persino influenzato la fisionomia delle città. Infatti, allora le botteghe sorgevano nel centro delle città, nel pieno della vivace vita cittadina, prima che dopo l'età moderna si creassero zone industriali nelle periferie e nei sobborghi. Ancora adesso nelle città italiane che ancora conservano un aspetto medievale, si possono trovare tracce di quali arti e dei mestieri si praticassero nelle vie e nei quartieri. Tutti i lavori praticabili erano gestiti da diverse “corporazioni”; ogni corporazione si presentava come un'associazione indipendente di lavoratori di uno stesso mestiere che gestiva poteri, diritti e doveri di tutti i membri, decidendo regole comuni attraverso degli statuti, ma si occupava anche delle famiglie dei lavoratori in caso di necessità, concedendo assistenza a chi ne aveva bisogno. Dunque, chi non era iscritto ad una corporazione, semplicemente non aveva un posto nell'economia cittadina e nella società, né poteva sperare di mettersi a lavorare in proprio senza di essa.
Se immaginassimo di entrare in una bottega medievale, potremmo incontrare diversi tipi di lavoratori: i garzoni, giovani ragazzi non pagati che vivevano in casa del maestro. I contratti di apprendistato venivano stretti tra il maestro e la famiglia del giovane apprendista, che trascorreva almeno tre anni di garzonato, prima di poter accedere ad un vero salario e poter stabilirsi in una dimora propria. Il maestro potrebbe essere considerato il vero e proprio titolare della bottega, dove non solo era proprietario, ma soprattutto docente ed educatore per i suoi apprendisti. Senza la bottega di arte pittorica di Filippo Lippi non avremmo Botticelli e senza Il Verrocchio non avremmo grandissimi artisti come Leonardo da Vinci e il Perugino, e proprio a questo proposito mi piacerebbe ricordare le parole del suo geniale allievo Leonardo, che disse proprio “triste è quel discepolo che non avanza il maestro.”
Parole molto adatte, considerando chi sarebbe diventato il giovane Leonardo.
Nel Rinascimento, le botteghe, specialmente quelle di arte pittorica, conobbero uno splendore mai raggiunto. Tutti gli artisti avevano trascorso un periodo di formazione in qualche bottega: questi luoghi offrivano grandi opportunità di lavoro perché, in diverse occasioni, c'era sempre qualcuno che poteva richiedere un particolare dipinto, e l'arte era pagata profumatamente da chi aveva gusti raffinati e buon occhio. Quindi, l'artista di bottega poteva facilmente ricevere una richiesta di un lavoro su commissione e proprio per questo sono innumerevoli le opere che ci sono state create per questi motivi. Ancora una volta possiamo dimostrare che l'arte non è un semplice passatempo, come spesso viene vista oggi: nel rinascimento l'arte invece era strettamente legata al suo lato economico, e le botteghe d'arte ne sono una chiara testimonianza. C'è da dire però che spesso le opere degli apprendisti venivano poi modificate, con l'aggiunta di dettagli e tocchi finali dal maestro e spesso recavano la sua firma, quindi il lavoro di questi giovani artisti a volte non era riconosciuto, ma in genere il compito del maestro era assicurarsi che i suoi allievi fossero i migliori, per poter trasmettere loro i segreti della sua pittura: dopotutto, cosa meglio di un allievo famoso e talentuoso poteva portare miglior pubblicità alla bottega? Se gli apprendisti si dimostravano degli ottimi artisti, tutto l'orgoglio andava al maestro, e sparsa la voce, altre famiglie avrebbero destinato i propri figli al lavoro in quella bottega.
Molti artisti, per la grande fama che si lasciavano alle spalle e il loro ben visibile talento, hanno praticamente posto le basi per un nuovo stile e un nuovo modo di concepire l'arte. I cambiamenti che Leonardo da Vinci apportò con le loro opere e il suo stile innovativo attirarono molti altri giovani artisti che divennero suoi seguaci e fondarono, per così dire, la scuola di Leonardo. I Leonardeschi erano per lo più pittori lombardi: fu a Milano, più che a Firenze, infatti, che Leonardo sperimentò maggiormente il successo, grazie anche alla protezione di Ludovico il Moro, e divenne l'artista di riferimento di Milano, mentre a Firenze era sempre stato secondo ad altre correnti. Non ebbe moltissimi allievi -i suoi diretti apprendisti furono principalmente Gian Giacomo Caprotti e Francesco Melzi- ma fu forte l'impatto che le opere ebbero sugli altri artisti in terra lombarda, soprattutto a inizio del Cinquecento: del suo stile i Leonardeschi ereditarono soprattutto la scioltezza compositiva, lo sfumato, l'illuminazione diffusa, la bellezza malinconica dei volti dei soggetti. Fu quindi lodevole da parte dei Leonardeschi la diffusione dello stile del maestro in zone d'Italia dove lui non si era mai recato.
Lo stesso potrebbe essere detto su Caravaggio che, secondo il mio parere, influenzò ancor maggiormente la pittura tra il XVI e il XVII secolo, con la sua personalità turbolenta e il suo stile, probabilmente uno dei più riconoscibili quando si parla di pittura. I Cavaraggeschi si ispirarono al Merisi soprattutto nello speciale uso dell'illuminazione, tratto peculiare dello stile di Caravaggio: immagini di forte realismo, sfondi scuri squarciati da un lampo di luce che aumenta la drammaticità della scena rappresentata. Sarebbe troppo provare ad elencare tutti gli artisti che si ispirarono allo stile di Caravaggio (considerando che influenzò l'arte per moltissimo tempo, arrivando addirittura ad influenzare la fotografia) ma mi piacerebbe prendere in considerazione un suo quadro in particolare, Giuditta e Oloferne, e la versione che realizzò Artemisia Gentileschi: ovviamente, i due quadri sono molto simili, non solo per il soggetto rappresentato, ma anche per la tecnica, visto che Artemisia lavorava nella bottega d'arte di suo padre Orazio Gentileschi, anch'egli fedele allo stile di Caravaggio. È commovente vedere come la mano di Caravaggio aveva dipinto Giuditta come una fanciulla delicata che sembrava provare repulsione per il sangue di Oloferne mentre lo mantiene per i capelli e cala la lama sul suo collo. Artemisia, invece, rappresenta Giuditta con una crudezza e una violenza da farla sembrare una novella leonessa bipede (come Eschilo descrisse Clitennestra nell'Orestea) mentre con tutto il peso del suo corpo schiaccia Oloferne sul letto e gli taglia la testa, aiutata dall'altra donna. La maggiore violenza nel quadro è spiegabile conoscendo la storia della vita della Gentileschi: violentata da un altro pittore alla bottega del padre, ricevette giustizia non dalla legge ma attraverso questo quadro, che le permise di vendicarsi del suo aggressore, in una furia di sangue, di ombre e luci.
In questo caso la bottega è stato teatro di orrore, oltre che di arte, genialità e duro lavoro. Perché le botteghe d'arte pittorica non sono che microcosmi popolati da grandi artisti, giovani pittori sfruttati dal proprio maestro, da maestri capaci e altri meno capaci, di apprendisti che facevano a gara tra loro, di persone buone e di altre orribili.
Come i quadri che venivano prodotti in questi luoghi, le botteghe non sono altro che una vivida rappresentazione della realtà cittadina e di un modo di vivere l'arte molto profondo, popolata dai suoi angeli buoni ma anche dai uomini di malaffare.
di Michela Oliviero
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